Partiamo da qui:
Cos’è il cross selling?
La capacità di attrarre il cliente e, se compra un prodotto o sottoscrive un servizio, di consigliargliene un altro, integrativo, complementare, totalmente differente, qualsiasi cosa purché non sia un sostituto del prodotto che il cliente vuole acquistare (upselling è se il cliente vuole un prodotto ad un certo prezzo e il venditore consiglia al cliente un prodotto sostitutivo con caratteristiche migliori e, naturalmente, con un prezzo più elevato).
Ora che le idee sono più chiare, sviluppiamo il tema centrale del post:
Cosa c’entra il cross selling nello store fisico se io sto comprando on line?
Già di per se le piattaforme di e-commerce evolute hanno algoritmi che, in base al prodotto scelto, consigliano un prodotto complementare.
Per esempio:
Amazon -> altri prodotti simili acquistati da altri che hanno comprato ciò che sto mettendo nel carrello.
Grossi brand di abbigliamento -> algoritmi che, in base al capo che sto valutando, consigliano l’abbinamento con per arrivare fino ad un outfit completo.
Assicurazione -> cerco la copertura della casa e mi viene consigliata l’estensione per la rc famiglia.
Ecc. Ecc.
Tutto questo è cross selling effettuato on line basato su algoritmi cioè su procedure automatiche, su macchine, su programmi che analizzano le mie abitudini di acquisto e quelle di altri consumatori potenzialmente simili.
Il nodo centrale però è…
Ok, ho scelto una maglia, fatto l’ordine, vissuta la mia esperienza di acquisto (adesso tutto è diventato esperienza di qualcosa) e poi?
Vado in negozio quando arriva l’avviso che il pacco è arrivato (se è presente lo store fisico naturalmente ma sono sempre di più le catene -soprattutto di abbigliamento – a permettere questa scelta) e… saluto, ritiro e via.
Perché una gentilissima commessa che magari potrebbe avere informazioni precise su quanto ho acquistato con il mio ordine non mi offre magari uno sconto e un abbinamento a un paio di pantaloni presenti in negozio che posso provare e confrontare attratto dalla possibilità dello sconto e soprattutto perché, se sto vivendo l’esperienza di acquisto e di “festa” perché sto andando a ritirare il mio pacco, quindi sono felice e magari sono più ben disposto a comprare altro?
Cioè perché il cross selling non continua anche in negozio ovvero non è omnichannel?
Se vado in negozio il cross selling magari me lo fanno; se compro on line il cross selling viene fatto; se incrocio i canali invece spesso e volentieri no.
Nelle catene, non solo di abbigliamento, in cui mi è capitato di fare acquisti non mi è mai stato proposto nulla se non: ritirare il pacco, possibilità di cambiare/restituire l’articolo, stop.
Certo, non si deve bombardare il cliente assalendolo con mille offerte speciali appena mette piede in negozio per ritirare il suo pacco ma del resto, la bravura e l’esperienza del negoziante/shop assistant sta proprio lì, no?
Invece di considerare il momento del ritiro del pacco solo come un momento di ritiro del pacco, occorre considerare che si tratta di una vendita vera e propria. Già finalizzata ma comunque merita di dedicare il tempo necessario a quel cliente, merita di spiegare caratteristiche del prodotto comprato che sto ritirando e soprattutto merita di spendere due parole per proporre un’offerta contestualizzata di cross selling.
Se l’abbinamento proposto dall’algoritmo on line non mi ha convinto, magari nello store fisico vedere e toccare con mano l’ulteriore capo proposto può farmi cambiare idea et voila…la vendita è fatta.
Costo aggiuntivo: zero (il personale in negozio c’è già, i dati del mio ordine sono a disposizione e i prodotti complementari sono già presenti)
Risultato potenziale: fosse anche solo una vendita su 10 la buttiamo via?